I racconti

"Parole di seta"

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WB00961_.GIF (1019 byte)IL PIANETA FAIDATE'
WB00961_.GIF (1019 byte)L'INCENDIO EVITATO
WB00961_.GIF (1019 byte)COME FU CHE DIO CREO' IL POETA
WB00961_.GIF (1019 byte)CONVEGNO DI PSICANALISI A PARIGI

GINA LABRIOLA

IL PIANETA FAIDATE’

(Racconto inedito - Incipit)

" Ohi, disse l'Omino Verde, che bel sole! Posso dormire, però, un altro poco. Ho lavorato bene ieri. Il padrone mi lascerà tranquillo un pochettino... ", e si girò dall'altro lato, riprendendo un sogno interrotto.

(Cosa sognasse l'Omino Verde, e anche come funzionassero i suoi sogni, ve lo dirò un'altra volta).

" Già, disse ancora l'Omino Verde mentre si riaddormentava, già, certo, che bel sole! Come se non lo sapessi! Ho lavorato tanto, ieri! Ho ancora le ossa rotte! "

Proprio mentre riprendeva sul più bello il sogno interrotto, l'Omino Verde sentì la voce del padrone che urlava:

" Sveglia! Sveglia, fannullone! Al lavoro! C'è il sole! E' primavera! Sveglia! Non lo sai che c'è il sole?! "

" Certo, disse l'Omino Verde con la bocca impastata di sonno, certo che lo so. L'ho fatto io! Signor Padrone, ho dovuto raddrizzare qualche raggio che si era storto, cambiare qualche vite che s'era arrugginita, ho smontato tutto, ho lucidato tutto, lubrificato tutto, ho messo in moto, ho sistemato gli gnomoni a tutte le meridiane...ho lavorato fino a tardi nell'officina, al buio... "

" Come, al buio, urlò il padrone, come al buio, se avevi il sole? "

" Ma sì, Signor Padrone, replicò l'Omino Verde, avevo il sole ma non lo potevo accendere, perchè fuori c'era la luna, e (voi lo sapete, ieri l'avete voluta piena, la luna), col sole che stavo fabbricando, un bel solacchione di primavera, come voi avete ordinato, rischiavo un corto circuito, cioè, volevo dire un' eclisse....perciò vi ho fabbricato il sole a lume di candela. "

" Un'eclisse, un'eclisse, bofonchiò il padrone, mi piacerebbe averne una. Tra qualche giorno avrò gli amici a cena. Vorrei far vedere una bella eclisse. Non sanno neppure cos'è. Sarebbe un bel divertimento. Ma ora su, sfaticato mangiapane, il sole me l'hai fatto (e staremo a vedere, se è davvero un sole di primavera, non troppo caldo e non troppo freddo, e con le nuvole quando e come ti dico io). Primavera è pronta, voglio le foglie. Avanti! Va ad incollare le foglie sui rami. E attento a noi sbagliare: foglie di quercia su alberi di quercia, fico con fico, pero con pero. Non fare come l'anno scorso, quando t'ha preso la fantasia (o magari eri mezzo sbronzo!) di mettermi pampini tra le ortiche e ortiche nell'insalata. Va! E le foglie, ricordati, appena nate, verde chiaro, chiarissimo, quasi gialline; poi, tra qualche giorno, una pennellatina, un verde più scuretto, poi un verde deciso, poi un verdone. Colori, ne hai ancora? "

" Ne ho dell'anno scorso ", disse timidamente l'Omino Verde, mentre si infilava i pantaloni.

" Saranno rinsecchiti, brontolò il Padrone, fabbricane degli altri ! ".

" Va bene ! ", sospirò l'Omino Verde mentre si abbottonava la braghetta. 

" E non dimenticare gli uccelli, aggiunse il padrone, incollami bene le penne. E variopinte. Molte, molte varietà di penne e di colori. Quest'anno voglio far morire di invidia i miei vicini! "

L'Omino Verde se ne andò al lavoro. Il sole, caricato la sera prima, si era acceso all'ora giusta, da lui regolata con precisione nel macchinario, prima piano piano, appena un chiarore, aurora, alba, mattina, poi più acceso. Luccicava che pareva nuovo. Emanava, però, una puzza d'officina, dovuta al grasso, col quale aveva lubrificato gli ingranaggi, e che si era riscaldato.

" Però che puzza, disse l'Omino Verde parlando da solo, devo spazzolare qualche fiore e sistemarlo sui rami (i mandorli, mi pare, a primavera, o i peschi, hanno i fiori prima delle foglie). Bisogna che mi ripassi il manuale, quello illustrato con le figurine. Perchè se mi sbaglio, il padrone, poi... Già, ma del resto, dato che anche il manuale l'ho fabbricato io, se mi gira, basta che strappi qualche pagina o inverta l'ordine... ed è fatta. Cambio il manuale e...ti metto l'ortica sotto la lingua, maledetto sfruttatore ciarlatano, e anzi la cicuta nella minestra, ti metto, brutto panzone...Già, brutto panzone, però se ti faccio crepare ti devo fabbricare la morte, e la morte non mi piace perchè puzza ed è tutta nera. Non la so fare, la morte, neppure per te, ma un bel mal di pancia te lo fabbrico, stai sicuro, signor padrone... Mi fabbrico un giuramento, tiè, sulla lingua, e poi vedi !"

E l'Omino Verde si fabbricò sulla lingua il giuramento di far un dispetto al suo padrone, e se ne andò ad incollare le foglie sugli alberi. Ad una, ad una, ad una: prima quelle piccole piccole, quasi rosa, accartocciate, poi quelle un poco più grandi, foglie neonate, foglie bambine, foglie giovinette, foglie che sventolavano come manine ardite.

Aveva fabbricato pure il vento, qualche giorno prima, ma siccome non gli aveva ancora trovato un nome, non gli era riuscito bene, e confondeva tutto ciò che in qualche modo fosse capace di muovere aria, soffi, sbuffi, flatulenze...Ora però aveva pensato ad un'onda invisibile e fresca, al pensiero inespresso di una fanciulla timida, aveva detto "brezza", aveva messo in moto delle eliche sottili, ed ecco che sugli alberi manine, ardite come foglie appena nate, si erano messe ad agitarsi.

Ho detto "nate", così, per modo di dire, o per abitudine, in realtà avrei dovuto dire appena appiccicate, col loro picciolo, al ramo, al posto giusto, secondo il disegno che lui stesso aveva inventato.

Siccome era di malumore, e aveva giurato di far dispetto al suo padrone, mise i pampini in cima ad altissimi pini.

" Vedrai, pensava, maledettisso panzone, quando ci metterò i frutti, come farai per cogliere l'uva che ti piace tanto? A posto dell'uva ci metto le pigne, e sorbe a posto d'albicocche. Tiè! "

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GINA LABRIOLA

L'INCENDIO EVITATO

(Racconto inedito)



" Che razza di pittura è questa ? ", disse furibondo l’autorevole critico d’arte.

Aveva sentito dire che in un paesetto lucano, nell’antichissimo catoio della sua casa, una signora, arrivata da Parigi, esponeva le sue pitture in anteprima, ed era arrivato a bella posta dalla capitale, o dal capoluogo di provincia, non ricordo bene, per vedere " la novità ".

Appoggiava alla seta una enorme pipa, ardente come una fornace d’inferno, poi la succhiava rabbiosamente per aspirarvi i più feroci insulti.

" Ma insomma ? Che tecnica ha usato? Che materiali ? "

La signora arrivata da Parigi, che era poi una lucana purosangue, nomade per trent’anni, tornata nella terra dei suoi avi, timidamente cercava di spiegare:

" La tecnica ? I materiali ? Un po’ di tutto : elementi naturali, colori ricavati dalle piante, da certe radici, e, pare, anche da escrementi di certi animali... e poi acqua, sale, zucchero, farina, latte, cera, alcol... "

Il critico autorevole cercò una porta per poterla sbattere, ma la porta non c’era, e, per uscire all’aperto, dovette arrampicarsi per una ripida e stretta scala, un po’ a fatica, dato che aveva, proprio le fisique du rôle del critico autorevole.

Ad ogni gradino, sbraitava :
" Sale ! Zucchero ! Farina ! Piante ! Intrugli ! E anche animali ! Roba da cuochi ! Chiamate i cuochi, non i critici d’arte ! "

Tanto sbraitò che un cuoco finì per sentirlo.

" Piante, zucchero, sale ? Roba che viene da Parigi ? Bene, benissimo !"
Felice di potere assaggiare specialità della cucina francese, venne il cuoco, tutto ossequioso e sorridente, roseo e rotondetto, a cominciò ad esercitare l’olfatto per carpire aromi di pietanze rare, ma gli odori che colpirono le sue narici esperte furono quelli di una madia, di un antico forno, di un focolare, di una catasta di legna, tutta roba che per tanti secoli era servita a preparare e a cuocere pani, pizze, rascatielli, e aveva conservato gli antichi odori lucani, che si mescolavano bonariamente agli odori dei prodotti assorbiti dalla seta (che venivano da Parigi).

I veli evanescenti si appoggiavano a vecchi sacchi di rozza tela che erano serviti per il grano, l’orzo, i fagioli e la farina. I lemuri dei bachi non se ne mostravano offesi, ma il cuoco si sentì ferito nel suo onore culinario.

" Che razza di cucina è questa?, disse, e cominciò a saltellare dal forno al focolare, dalla madia alla catasta di legno, misurando a passi l’ampiezza del locale.

" Che spreco ! Un locale così, adatto ad una pizzeria, con il forno (a legna) già pronto e funzionante ! E invece si appendono ai muri queste pezze che neanche sono buone per coprire i tavolini! Almeno chiamate i sarti ! Questa è roba da sarti ! "

Anche lui se ne andò tanto furioso che quasi ruzzolavacome una palla per la ripida scala.
E venne il sarto. Elegante, snello, con baffettini, sfoggiava un francese quasi perfetto adorno di una bellissima erre moscia. Era gentilissimo:

" Mais oui, mais oui, madame ! Vous êtes une artiste ! Oh ! Les belles couleurs ! Mais oui, mais oui : splendidi colori, splendida seta, perfetta per la biancheria intima della mia prossima collezione ! La poesia ? Ma certo, perchè no ? Un "poema" sul seno, un altro sur la cuisse, un autre sur les fesses... épatant ! Génial ! Molto chic, molto sexy !"

Venne infine un critico letterario, con le migliori intenzioni del mondo, in verità, ma fece fatica a leggere i versi scritti obliqui o a rovescio, con le lettere che scivolavano nei colori, e i colori che si mangiavano la metà delle parole :

" Ma che roba è ? Poesia visiva ? Nell’epoca di Internet, scrivi a mano ? Fatti un Sito con un bel WWW ! Ti costa meno fatica e si legge meglio !"

Che fare ? L’artista si accingeva a raccogliere i veli di seta e buttarli nel forno dei suoi antenati.

Un bel velo che pareva l’incendio del sole al tramonto, al contatto della pipa del critico d’arte, aveva preso fuoco davvero, e mostrava ormai il colore della notte e della rinuncia. Gli altri dipinti vibravano di dolore, nel calore dell’incendio.

Per fortuna arrivai in tempo. Mi vennero in mente i versi di un poeta che mi fu sempre caro e li ricordai alla poetessa amica mia:


Il poeta si diverte,
pazzamente,
smisuratamente.
Non lo state a insolentire,
lasciatelo divertire,
...
Certo è un azzardo un po’ forte
scrivere delle cose così,
che ci son professori, oggidì,
a tutte le porte.
ma... infine
....
gli uomini non domandano più nulla
dai poeti :
e lasciatemi divertire !


I versi citati sono di Aldo Palazzeschi

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GINA LABRIOLA

COME FU CHE DIO CREO’ IL POETA

(in Antologia "Arte e cultura lucana", a cura del M.O.V. Lucania, Lauria, 2000)

Non è vero affatto, come dicono, che il settimo giorno, Dio si riposò.

Dormiva un sonno agitato, era scontento. Aveva creato tutto, anche il dubbio, e prima di tutto, ne faceva l’esperimento su se stesso.

Il mondo era imperfetto. La fantasia, quella no, non gli mancava. C’era di tutto, ma qualcosa non funzionava a perfezione.

Ciò che più lo preoccupava, era Adamo, sempre a mettersi nei guai.

Avrebbe potuto, con un altro piccolo sforzo, farlo più intelligente. Gli restava un po’ di fango, e tanta aria in corpo. Ce n’era voluta poca, per fare un’anima ad Adamo. Un’animuccia rozza, quasi da scimmione, e aria, gliene restava tanta. Cercava, in tutti i modi, di cacciarla via...

Quello del piano di sotto lo sentiva agitarsi, e sghignazzava.

" Senti, gli disse, se per una volta tanto accettassi un buon consiglio! Con quello che ti resta, crea qualcuno che aggiusti tutto. Una specie di schiavetto, un giullare, che inventi il mondo come lo vorresti, copra le magagne, o che, almeno, distragga la gente, faccia maschere con le parole, riinventi tutto, favole, frottole, miti, magie, illusioni, metamorfosi, e panzane. Dopo tutto, non ti costa niente! Lo potremmo, anzi, tenere a mezzadria: quando non è occupato agli inni sacri, lo mettiamo a compilare versi satanici e maudits ".

" Sarebbe un’idea. Peccato, eri un bravo consigliere! Se non fosse per quella vecchia storia! "

" Va là, non mi lamento. Dopo tutto, mi lasci il pian di sotto. Ci fa un po’ caldo, ma via, ogni tanto, fai finta di non vedermi, se vengo ad affacciarmi al tuo balcone! "

" Già, ma il fango che mi resta, per la bisogna, è poco. Verrebbe brutto! "

" E che, lo vorresti bello? Solo se è brutto, si lamenta meglio, e inventa tutte le cose a modo suo, trasforma, o, come si dice, sublima ed idealizza... "

" E poi...gli devo dare una compagna. Magari col solito sistema. Sperando che questa volta ti stai buono, e non ricominciamo con le mele! "

" Questa, poi! Ti vuoi mettere nei guai? Rovineresti tutto! Se capovolge il mondo, è per amor di lei, della compagna, che cerca sempre e che non trova mai...io, gli posso, se mai, spedirgli, fermo posta, qualche fiamma, qualche fantasma stimolante, lo sai, ne ho tante "

" La cosa richiede un po’ di riflessione... "

" Non riflettere tanto! Se lo fai pesante, poi, ne fanno mattoni per le biblioteche! Piuttosto, fa presto, libera tutta l’aria che hai dentro: chiedi aiuto al vento, che disperda nell’aria il tuo scontento... "

Premiata e pubblicata
a Messina nal 1998
premiata a Lauria1999

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GINA LABRIOLA

CONVEGNO DI PSICHIATRIA A PARIGI

(Racconto inedito)

" Psicanalista, psichiatra, psicologo, psicoterapeuta, psicodramma.... "

" Ma tu, ti sei iscritta? Ce l’hai, l’invito? "

" No! "

" E allora che vieni a fare? "

" Niente. Non faccio niente "

Il più cattivo era quello di Bologna, con due occhiacci dietro i cespugli delle sopracciglia e della barba.Mi volevano linciare, lapidare, quale non addetta ai lavori, lanciandomi addosso volumoni di psicotutto, rilegati.

" Ma si può sapere chi sei? " dice l’Organizzatore Presidente.

" Solamente Psiche. Ma non ho ricevuto l’invito. Credevo che tutti questi Psi... mi potessero aiutare: a ritrovare Eros, il mio amante. Un ragazzino: esile, capriccioso, volage, armato, sì, ma di frecce che non fanno troppo male. Permaloso.

Disubbidisce alla sua mamma: è lei che mi perseguita. Mi vuole ad ogni costo ritrovare, torturare: Venere, lo sai, con lunga chioma e lunga coscia, figlia di Zeus, regina di cuori. Venere: mia suocera.

" Guai, mi aveva detto Eros, guai, lo sai, per te, se frughi nella vita mia! Se sollevi il velo, e guardi. Morte, se apri le porte! "

Era bello, lo sai. Mi avvicinai al suo corpo addormentato, con una lucerna accesa. Era davvero figlio di una dea! Tu non sai cos’è la bellezza, Signor Organizzatore Presidente! Mi tremò la mano, e una goccia bollente maculò di dolore la sua bianca perfezione.

Ora, capisci, se n’è andato. La sua mamma mi cerca, per farmi pagare, tutto in una volta, la presunzione, l’ardire...(figurati, io, Psiche mortale, con un giovane dio!) E poi la disubbidienza, la curiosità, l’olio bollente!

Io cerco lui, per tutto il mondo. Pensavo, chi sa, questa brava gente... Avevo sentito dire: psi, psi, psi...psicanalista, psichiatra, psicoterapeuta, psicologo. Pensavo, chi sa, che c’entrassi anch’io, che mi chiamo Psiche.

Non ci capisco niente, saranno tutti d’accordo con mia suocera. Prima volevano lapidarmi, ma ora sanno che sulla mia testa c’è una taglia (dieci baci di Venere, ci sono, come premio a chi mi trova!) mi vogliono rinchiudere.

Tutti, veramente, no: un certo Basaglia, apre le porte a tutti, anche ai pazzi. Ma io, dove mi nascondo? "

" Guarda, mi dice l’Organizzatore Presidente, che ti sbagli. Qui non è arrivato nessun avviso di " Chi l’ha vista? ".

Quanto ad Eros, non so che dirti. Le frecce, hai detto? Un tale, mi pare, dalle parti di Pigalle, ha una baracchina, fa la reclame di un locale. Vende tre freccette, chi fa tre colpi, vince "

" Colpisce i cuori? "

" Palloncini. Sì, mi pare proprio: palloncini a forma di cuore. Anzi no, a forma di...di un’altra cosa. Sai, dalle parti di Pigalle...!  "

" E’ bello? Le carni bionde, le membra snelle, i capelli a molla? "

" Beh, veramente...un piccoletto, un po’ pelato, con pancetta... "

" Non può esser lui... ma, con tre freccette, cosa vinci? "

" Boh! Mi pare, con tre, un orsacchiotto di peluche, se fai più punti, hai un ingresso gratuito al locale... "

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