Poesia

"Parole di seta"

Precedente Home Successiva

Biografia
Critica
Poesia
Narrativa
Teatro
Saggistica
Pittura
Bibliografia                             

PRINCIPALI RACCOLTE POETICHE E PREMI RICEVUTI

WB00790_.gif (159 byte) Istanti d'amore ibernato (Premio Gatti, Bologna 1972; Premio San Valentino, Terni 1973)
WB00790_.gif (159 byte) Alveare di specchi (Premio Il Ceppo Proposte, Pistoia 1974)                           PREMIO WB00790_.gif (159 byte)
WB00790_.gif (159 byte) In uno specchio la fenice (Premio Dino Campana, Marradi 1982)
WB00790_.gif (159 byte) Fantasma con flauto (Premio la Madia d'oro, L'Aquila 1993)
WB00790_.gif (159 byte) Poésie sur soi/e (Premio Alfonso Gatto, Salerno 1989)
WB00790_.gif (159 byte) L'exil immobile (in collaborazione con l'Università di Rennes) 
     POESIE IN FRANCESEfreccia.gif (159 byte) 
WB00790_.gif (159 byte) Poesie su seta
WB00790_.gif (159 byte) Poesie tradotte in francese, inglese, spagnolo, bulgaro, persiano

ULTIME NOVITA' LETTERARIE  new.gif (9949 byte)

   librilibri.gif (3113 byte)

 

 

 

da Alveari di Specchi

Kashàn

Davanti a una porta di Kashàn,
non so con quale battente bussare:
se con quello costruito per mano virile
e annunciarmi -maschio-
che copran le donne
i peccaminosi capelli col velo
e si nascondano all'interno dei cortili
o con l'altro, dal tocco leggero,
e annunciarmi donna tra le donne,
e venire con voi intorno al samovar
per dire male del maschio
e lavare panni e vasellame
nella vasca verdastra
seduta sui talloni
ma qui voglio restare.
In questa geometria polverosa
di cupole modellate nel kaghèl
(1)
come forme femminee
o bag-ghir
(2) come verghe virili
nell'unico colore di miele
ove si spalanca attonito
l'occhio verde di un prato:
scaldami al calore del forno
all'odore molle del pane
come sudore della pelle
e riflettere la mia faccia frantumata
in un mosaico di specchi,
ma qui voglio restare.
Io non so
se sono una tortora crudele
che divora i suoi figli nel nido
o un mite falco
dalle ali scolorite
che cerca rifugio in un muro cadente
fra paesaggi sognati di occidente
e le acque inventate sull'intonaco
tra le facce idiote dell'ultimo Kajar
tra le sue sentinelle impotenti
e i suoi ambigui cortigiani
ma qui voglio restare.
Frammento caduto d'intonaco
in un giardino nascosto
nella casa di Boroujerdì,
ma qui voglio restare.
Annodatemi in un filo di tappeto,
lasciatemi scivolare
tra le dita della bambina
-uccellino nella gabbia del telaio-
e diventare un fiore di lana
in un prato sognato nel deserto
un petalo con l'odore del gregge
ma qui voglio restare.
(30 marzo 1973)

(1)-Il Kaghèl è un materiale da costruzione: fango e paglia.
(2)-Nei villaggi ai margini del deserto, dove spirano venti
costanti, i bad-ghir (acchiappa-vento) sono altissimi comignoli costruiti in maniera da creare correnti d'aria nelle case.

(da Alveari di specchi, p.170)

 

Alveare di specchi

Voglio perdermi
in un alveare di specchi
solitaria ape
di sorriso e pianto
rifranta in uno sciame
d'altre me stessa infinite
a strisce di giorni e di notti
nella spirale d'un ronzio

sciame senza regine sazie
e fertili uxoricide,

suggere assenzio da una spina
per l'amaro miele del ricordo.

Voglio perdermi in un'arcata d'Isfahan
in una stalattite di stucco sfaccettato
tra le facce dipinte di reucci oppiati
fieri dei baffi
e della perla del turbante

perdermi
un grappolo di uri,
i larghi occhi idioti
sotto la riga orizzontale
delle sopracciglie unite:
Shallàh Shirìn Shanàz
Mahvàsh Marjàm Manijèh
Parvìn Iràn Shahìn,
immobili uri del mio inferno.

La mia illusione di realtà

_anelito d'assoluto_
frantumata in mille ali
senza volo
frementi in mille riflessi di aure.

Voglio intrecciare le righe
gialle e nere
dei miei giorni e notti
e spegnermi
nel mio alveare di specchi
sterile del miele e della luce
_mio inutile pensiero!_
soffocare il ronzio di questo inutile dolore
e la gelosia
figgendo il pungiglione
nel grappolo delle pupille opache
del vostro occhio idiota
o implacabili uri del mio inferno

perdermi in un roseto di Cehel Sutoùn
trafitta dall'amore
disseccato in una spina.

(da Alveare di specchi, p.14)

Torna all'inizio

wpe7.jpg (1811 byte)

da In uno specchio la fenice

Ero io Euridice...

Ero io Euridice, ed ero Orfeo,
io stessa l'aspide
che per tanti anni
m'aveva avvelenata
quando, spezzata la cetra,
non sapevo più incantare
neppure la belva chiusa
nel fondo di me stessa.

E da sola
volevo trovarmi,
incantarmi col mio stesso suono
e ritrovare con la voce
il nome di Euridice.

Presuntuoso Orfeo,
avevo un bisturi
che tintinnava come cetra.

Nell'Averno del Pentotal,
ai Cerberi
con garza sulla bocca,
chiesi un frammento d'infinito
e un'immagine di me,
amante amata
Orfeo ed Euridice,
come volevo essere.

Nel buio del Pentotal
tu apparisti
e nella mia faccia mi guardai
spezzando leggi d'Averno
e di paure antiche:
<<Sei pazza, mi dicevano,
e mai più avrai Euridice,
se osi guardarti dentro!>>
Eri tu lo specchio
della tua faccia
(o della mia)
cadeva un'altra faccia
e un'altra, simile alla prima:
la mia faccia a strati
infiniti
fino a diventare solamente
punti di luce
nel mare freddo
del Pentotal.

da In uno specchio la fenice (p.116)

 

A rue Mouffetard...

A rue Mouffetard
mi pago una madre ad ore
per partorirmi di nuovo
dalla testa dall'utero
dal ginocchio o dal tallone,
e accetto di essere maschio
o femmina,
e il dolore e' tutto mio

nella testa nell'utero
nel ginocchio nel tallone.

Ma questa volta
mi partorisco armata
e in giro per il mondo
ci vado da sola
a cercarmi il padre che voglio
che abbia due gambe o quattro
che sia un uomo o un dio

ma che possa guardarlo
dritto negli occhi,
non attraverso il tuo corpo
che senta la sua voce
chiamarmi, e non attraverso
il nome che tu mi hai imposto.

(da In uno specchio la fenice, p.185)

Torna all'inizio

wpe8.jpg (1811 byte)

da Fantasma con flauto

Shariar

(Shariar era il principe carnefice delle mie mille notti meno una)

Lasciami amarti, una notte sola,
Shariar!
Lasciami ascoltare
la nenia del mullah,
il grido dei corvi dal deserto,
il ciangottare dei miei figli,
nati tra le storie delle mille notti.
Una notte,
in cui sia corpo e non solo voce…
Oppure fammi uccidere,
Shariar,
dopo averti raccontato tante fole,
e, per ultima, la mia alla rovescia.

            ***

Con un sacco di riso,
un cammello mezzo cieco, un samovàr,
lungo la strada dei miraggi.
Tre tigrotti addormentati in una cesta.
Tutte le storie mi avevano inseguita :
il riso gorgogliava in fantasmi di vapore,
raccontava il samovar,
cullati dalle storie i tre tigrotti.
Storie di spose uccise,
leggevo nei fondi del caffè.

 

Giovanni

Tutti conoscono don Giovanni Tenorio, ma nessuno sa che Leporello,
quello che compilava il catalogo delle amanti del suo padrone, ero io !

Dammi, Giovanni, una notte sola
tra le tue braccia, come se fossi, anch’io,
una donna. Sono esausti i tacchi del flamenco,
crepitano i grilli, dormono le rose,
giacciono le nacchere nel sonno.
Ma io continuo a scrivere
nomi di donna sul catalogo.
Corrono in cielo nuvole scapigliate :
con la complicità del vento,
sono corpi di donna,
grasse e rosa nel gran letto del sole.
Con le mie fole ho spaventato
il nero marmo del Commendatore :
non ha accettato il tuo invito a cena,
immobile resta in fondo al cimitero.

Fammi sigillare con il mio nome,
la lista delle amanti !

 

Gilles

Bretagna.
Gilles de Rayes è un potente feudatario.
Luogotenente, forse innamorato,
di Giovanna d’Arco, ha combattuto
al suo fianco e, all’età di venticinque anni,
è diventato Maresciallo di Francia.
Dopo la morte della Pulzella,
Gilles fa il patto con il diavolo e
terrorizza con i suoi delitti le contrade.
La gente, da queste parti, lo chiama
" Barbablù "

Acqua del diavolo, Morgana,
lungo la strada dei miraggi.
Nelle macchie sopra i muri
tra i ciuffi d’erba vento
leggo la storia delle mogli morte
aggrovigliate all’edera
e con occhi di ramarri.
Arrugginito è il ponte levatoio.
"Apri la porta, Gilles !
Sono una moglie menestrello,
sono un poeta.
Jeanne, " quella di prima ",
posso evocarla per esorcizzarla,
bruciarla in un libro,
o su un fornello di cucina
e guardarti, poi, dietro quelle fiamme.
Non è vero
che io vado in cerca solo del dolore :
voglio solo sapere
se sei davvero un tiranno sanguinario
o un uomo solo in cima ad una torre.

Vorrei che la mia pelle
non fosse solamente pergamena
a quelle antiche storie ! "

 da "Fantasma con flauto" pag. 12-15

 

Fantasma con flauto

Square de Varenne n°5.

Non prendo il metrò.
Vado lungo il viale dei telamoni.
Pietrificati in eterna erezione
i suoi amanti le offrono grucce per i veli.
Settecento veli come stendardi
e il vento ride fra le foglie.
Le parlo con un flauto
mi confondo al vento
nascondo in un mantello il mio essere femmina.
Penserà che anche i fantasmi
tornano per lei dall'oltretomba.
Le leggo le stesse lettere,
le dico le parole che per tanti anni
inutilmente mi chiedeva.
Una donna sa cosa vuole un'altra donna...
Ma tu, forse, in ufficio
pensi alla pazza che hai lasciato a casa
con la luna rotta,
che rinventa il tuo passato,
che ti chiama Gilles, Giovanni, Shariar...
(...)

da Fantasma con flauto  (p.49)

Torna all'inizio

wpe9.jpg (1811 byte)

Poésie sur soi/e

 

Zolle di cielo

Rivoltiamo zolle di cielo
ammucchiando da un lato le nuvole
per piantarvi radici di pensieri

Spunteranno,
se li irrora la notte,
fiori a forma di stelle,
crescendo col capo all'ingiù?

da Poésie sur soi/e (p.27)

 

Sbatte una porta

Sbatte una porta
non importa chiuderla:
é il vento
che batte il tamburo
della nostra solitudine

da Poésie sur soi/e (p.45)

 

Dalle mie dita...

Dalle mie dita
sono sbocciati fiori.
Tu ne strappi uno,
carnoso come una menzogna,
e te lo metti in bocca.

da Poésie sur soi/e (p.54)

 

Torna all'inizio

wpeA.jpg (1811 byte)

da Poesie su seta

L'arca di Noé

Sono io quell'animale
che fu scacciato dall'arca di Noè.
Non ero né maschio né femmina,
non avevo né zampe né ali
non avevo né orecchie, né occhi, né peli.
Anzi, no, avevo un pelo solo, ma evanescente.
Non abbaiavo, non ruggivo,
non ragliavo, non belavo,
ma neppure ero muto come un pesce.
Non seppero definirmi: terragno?
Acquatico o silvestre?
Marino, notturno, boschivo o celeste?
Non avevo pedigree né passaporto.
non avevo coda.
(Sognai sempre, sì, di averne una,
per agitarla, festosa, al tuo ritorno).
Le orecchie? Scomparse sul nascere.
Desiderio supremo: aver due gambe,
(non potendone aver quattro)
purché lunghe e belle.
Avevo una cosa, però,
che riuscì a salvarmi dal diluvio,
e anche da più modesti
pediluvi caserecci e semicupi,
pericolosi, talvolta, pare,
quando le tempeste ed i cicloni.
Annego, affondo, affogo.
Una piccola arca, di carta,
due versi per remi,
una vela trasparente,
e mi ritrovo, incolume,
grondante di ricordi,
in un mare colorato di parole.

da Poesie su seta (p.5)

 

Culla di sole

Voglio addormentarmi
in una culla di sole.
Lucertola di smalto
dormire
con gli occhi aperti
spilli neri
immobili
nel sole.

da Poesie su seta (p.8)

 

Peana

Voglio seguirti
vecchio dio
dove tu sei stanco.
Dove il giorno è lungo.
Lo sai che ho paura del buio.
Non voglio i tuoi meriggi folli
non voglio notti buie.
Seguo il tuo viso smorto,
vecchio dio
là dove non ci sono incendi.
Seguo la scia d'argento
del tuo giorno senza tramonto,
la tua luce bianca
nella mia mezzanotte.

da Poesie su seta (p.10)

 

Fantôme d'une fleur

Fantômbe d'un fleur
un mot me suffit
pour retrouver ta couleur.

Ombres de paroles
le couleur me suffit
pour vous rendre le son.

da Poesie su seta (p.13)

Torna all'inizio

  

homestart.gif (1140 byte)