Dal Sinni alla Senna

"Parole di seta"

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Le poesie "Il cane del re" , "Il sogno rubato", "La Senna e il clochard" e "La zitella di ferro"  fanno parte della silloge inedita Dal Sinni alla Senna.  Sono componimenti  rappresentativi del più recente periodo letterario della scrittrice; essi si staccano dalla fase più squisitamente storica, psicologica e lirica delle prime raccolte e si proiettano a 360 gradi verso il mondo della creatività fantastica, giocosa ed ironica. Si presentano come piccole storie o addirittura commedie dialogate, "teatrali" ,   caratterizzate da un sottile e serpeggiante fascino poetico ed affabulatorio.


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Il cane del re


Sul mio regno non tramontava mai il sole.
Perché il mio regno era trasparente.
Quando il sole calava in un emisfero
i raggi filtravano dall’altro emisfero
attraverso cristalli di rocca
rifranti da rocce di specchio.

I muri di vetro, le foreste di quarzo.
Gli uomini, le bestie, essenze traslucide.
Il sangue era un raggio di luce
che scorreva nelle vene trasparenti.
La mia corona, diamanti così tersi,
accecava chiunque mi guardasse.

Anche la mia sposa era cieca,
anche i miei piccoli figli.
I miei stessi occhi abbagliati
non potevano veder lo splendore
delle rocce di specchio,
i muri di vetro,
le foreste di cristallo
i diamanti della mia corona
il volto della mia sposa
i miei piccoli figli.
Aspettavo la pietà della neve,
ma lastre di ghiaccio,
implacabili
rifrangevano il sole.
Solo il mio cane si inventava un'ombra alla mente
a proteggere di palpebre la sua fedeltà
fino a sfiorarmi
con lo sguardo
il volto
.*****
Poi venne l'usurpatore.
Il mantello della notte
coprì i muri di vetro,
le foreste di cristallo,
i diamanti della corona,
bevve il sangue di luce.
Gli uomini, le bestie,
in carne opaca
nascosero il cuore e le vene.
Sul mio regno, non spuntava più il sole.
La neve divenne bitume,
le parole gocce di catrame.
Cieco nel buio,
mi chiusero in un carcere d'ombra.
Piansi lacrime di luce.
E allora vidi
ogni cosa perduta per essere così tersa
ogni cosa perduta per essere così buia.
Solo riluceva nell'ombra
umido di fedeltà,
lo sguardo del mio cane.
Il suo saggio amore
aveva fuso luce e ombra

e non conosceva
l'assurda cecità dell'assoluto.

La zitella di ferro

(a Gustave Eiffel)

Mi avevi promesso il can-can :
una gonna di seta, il fru-fru,
le piume, i lustrini...
Bulloni, mi desti,
borchie, chiodi e chiavicche.
Mi volesti magra :
" donna crisi ", si usava,
à la garçonne, i capelli.
I capelli ? Ma quali ?
Mi lasciasti pelata,
con una testa d’uccello,
a gambe aperte,
morta d’invidia,
incastrata, a guardare la Senna
a sbirciar le reclames:
Moulin Rouge, Lido, Folies Bergères...
e tu te ne andavi a Pigalle !
" Stai buona, dicesti, è per poco,
solo per l’ Expo universale !
Sei il simbolo, sai,
del secolo nuovo di zecca,
Nell’eleganza del ferro...
sei più chic di Notre Dame!
Più alta del Sacre Coeur...
quasi un Arc de Triomphe "
" Ma io voglio i veli e i lustrini !
Voglio ballare !
Voglio volute di cosce e di seni! "
E poi sparisti,
senza neanche un addio.
Son dappertutto?
Sì, sulle magliette dei turisti !
Simbolo di Parigi ?
O un ciondolino appeso al portachiavi ?
Sono arrugginita,
ho i reumatismi.
Di notte cigolo.
E non mi da pace,
quest' amore ferrigno.
Mi lustrano, mi ungono, mi lisciano.
Ogni tanto,
qualcuno pensa anche di smontarmi,
invece, poi, per calmarmi,
mi mettono addosso ghirlande e lumini.
Quando mi trovo con la luna in testa,
e una stella infilata in un occhio,
mi guardo in giro...
Dalle parti del Père Lachaise,
mi par di vedere la tua ombra.
Mi pare...Ma perchè dimenticasti di fabbricarmi un paio di occhiali ?

13 marzo 2001

 


 

Il sogno rubato

Mi trovavo sempre, come un'intrusa,
nel sogno degli altri,
e mai nel mio.

Avviluppata nel sudario del giorno,
aspettavo che lo specchio della sera
riflettesse l'altra mia faccia,
quella nascosta e segreta,
ma la notte era tersa, trasparente,
senza foglie d'argento
per riflettere i sogni.

Seppi, poi,
che c'era in giro un ladro di sogni.
Si appostava sulla riva del dormiveglia
nascosto dietro un cuscino
o una piega delle coperte.

Appena vedeva un bel sogno, una chimera,
affiorare alla superficie della memoria,
<<Zac!>> lo uncinava con un arpione
e in una gabbietta se lo portava via.

Poi, un giorno, trovai,
appeso ad un candelabro di stagno,
tra un quadro senza cornice,
e una cornice senza quadro,
un sogno tarlato, tutto floscio,

non so bene se
al mercato delle pulci dei sogni,
o a quello dei sogni delle pulci.

Un  sogno polveroso,
irriconoscibile, ormai,
fuori moda, fuori tempo:
era il mio.

Lo comprai a metà prezzo.
Me lo misi sulla camicia;

la notte ebbi un incubo.

Sognai di essere una pulce.

 

 

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La Senna ed il clochard

Grassa, sussiegosa,
vorrebbe somigliare a una regina

non sa bene a quale:
A Caterina, a Maria, ad Anne,
o a Marie Antoinette?
Strumenti del potere e del destino,
ognuna le lasciò in pegno qualche cosa:
sangue o veleno, lettere d’amore e tradimenti,
puntali di diamanti,
segreti pianti nella gabbia d’oro,
una testa mozza in una cuffia insanguinata.
Impastata al limo,
le scorre la Storia sotto il ventre.
Vorrebbe
paragonarsi ad una favorita,
quando fa la civetta coi lampioni
ma non sa bene a quale.
Troppe, ce n’erano:
Diane, Gabrielle, Athenaïs, Françoise...
capricci di re, capricci del destino...
Tra i quais scorre, pacifica e superba,
senza dar troppa confidenza
al Pont des Arts, al Pont Marie, al Petit Pont.
Un cenno, solamente,
(noblesse oblige)
al ponte di Henry Quatre e d’Alexandre.
" Passano re, muoiono regine,
le favorite invecchiano,
i cortigiani, tutti,
cadono in disgrazia,
ma solo io, ora, possiedo,
capovolti e riflessi in questi flutti,
palazzi, torri, guglie, clochers, giardini.
Ora è tutto mio.
Sono io la regina della storia.
Sono io la favorita del destino"
" Favorita?
Ma di chi? Sei troppo grassa!
La storia?
Lasciala ai bouquinistes,
sul Lungosenna,
che la vendano ai turisti, sulle cartoline.
Ma che regina!
Stai diventando una puttana,
con tutti i bateaux mouches
che ti porti a letto,
con trombe a bandierine!
Non sei più buona neanche per un pesce.

Solo io, clochard o barbone,
come mi vuoi chiamare,
quando sono proprio sbronzo,
vengo a farti qualche serenata,
e ti faccio assaggiare un po’ di vino.

 In fondo sei gentile, direi quasi materna,
quando accetti di lavarmi i piedi,
e ti scoli l’ultima bottiglia
che ti faccio rotolare in grembo.

 

Dal Sinni alla Senna prossima pubblicazione
 

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